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Giuliano Foschini – Lo zingaro e lo scarafaggio

Raccontare lo sporco che si nasconde dietro il gioco più amato dagli italiani è operazione difficile.

Tutti sanno, tutti conoscono ma nessuno vuole ammettere che le cose sono diverse da come sembrano nella realtà, che i calciatori non sono eroi senza macchia e senza paura, dei immortali da venerare ogni domenica.

Lo zingaro e lo scarafaggio

È un’inchiesta giornalistica, come i Quindici Passi, che non risparmia nomi, fatti e cifre.

Protagonisti sono il macedone Hri, lo Zingaro a cui basta mostrare il proprio volto sfregiato da una cicatrice e l’avambraccio tatuato, un tatuaggio che ricorda Guernica di Picasso, con le sue croci e i suoi morti, e il suo autista/guardia del corpo, un personaggio senza nome, la voce narrante che ci racconta i fatti, gli avvenimenti e i chilometri macinati in tutta Italia per aggiustare, sistemare, comprare le partite sulle quali avrebbero puntato gruppi di mezzo mondo.

A capo di tutto il misterioso Den, trafficante d’armi e di morte che si reinventa scommettitore e capo di un’organizzazione ramificata in tutto il mondo. E poi tutti gli altri gruppi. I Pugliesi, i Napoletani, i Siciliani, i Bolognesi, gruppo capeggiato dall’ex attaccante della Nazionale italiana Beppe Signori, un personaggio che appare compulsivamente legato e attratto da qualsiasi tipo di scommessa, come dimostra il racconto del Buondì da mangiare in trenta passi.

Paradossalmente ad uscire male da questa storia non sono i malavitosi, chi organizzava tutto. Sono i calciatori, gli scarafaggi, per usare una definizione cara a Hri.

Viziati, ignoranti, stupidi. Gente che spreca un dono di Dio, il talento, cercando scorciatoie per arricchirsi di più e più velocemente, come se non bastassero i soldi, la fama e tutto ciò che ne consegue che lo status di calciatore porta in dote in Italia.

Calciatori come Andrea Masiello che da promessa del calcio italiano, il Thuram bianco secondo Fabio Capello, si trasforma in scommettitore e arriva a vendere la dignità della propria squadra, causandone la sconfitta in un sentitissimo derby.

O come Paoloni, il portiere che dalla serie A finisce nelle serie minori e arriva a drogare i propri compagni di squadra pur di raggiungere l’obiettivo e garantire il risultato che aveva venduto ai gruppi di scommettitori.

O come Cristiano Doni che da idolo di una città e capitano della squadra cittadina arriva a diventare il simbolo esecrato dalla stessa tifoseria che fino a pochi mesi prima lo adorava.

L’inchiesta di Foschini e Mensurati riporta anche la paura che puntualmente la giustizia sportiva arrivi ad insabbiare tutto, a chiudere velocemente la questione, punendo magari solo i pesci più piccoli o chi ormai è fuori dal mondo del calcio.

Punire pochi, insabbiare il resto e far dimenticare tutto, in modo che i tifosi e tutto il resto del mondo continui a pensare che il gioco del calcio e i loro idoli siano puliti e non scarafaggi pronti a tradire l’affetto dei tifosi e la loro dignità di sportivi, che non sia successo nulla, che tutto sia tranquillo e che tutto possa tornare alla tranquillità.

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Giuliano Foschini – Quindici Passi

Scrivere del libro di Giuliano Foschini, Quindici Passi, in questo momento storico è difficile.

È difficile parlare di un libro, un’inchiesta giornalistica, che racconta cosa sia l’Ilva, il più grande impianto siderurgico d’Europa, per Taranto e per i suoi abitanti.

Foschini ha il merito di affrontare, insieme ad altri autori e libri, come Fulvio Colucci e Giuse Alemanno con il loro Invisibili per esempio, l’argomento Ilva prima che questo diventasse carne da macello per le discussioni televisive pomeridiane, per i finti dibattiti televisivi lontani anni luce dalla realtà tarantina, da quella puzza di minerale che ti entra nelle narici, si attacca ai vestiti e non ti lascia più.

È facile parlare senza conoscere realmente la situazione, o conoscendo a stento la posizione geografica di Taranto, nella comodità di uno studio televisivo romano o milanese, dove non arriva nessuna di quelle sostanze, di quegli acronimi che il giornalista elenca.

Foschini parla di Ilva prima dei cortei che hanno paralizzato la città, prima delle lotte tra chi vuole che l’Ilva chiuda senza se e senza ma, subito, e chi vuole difendere il suo posto di lavoro, che viene prima di tutto e che ti permette, in un periodo di crisi, di barcamenarsi e di raggiungere, bene o male, il fine mese. Dà spazio a chi ogni giorno lotta contro la polvere minerale che si poggia su qualsiasi cosa. A chi lavora all’interno dello stabilimento siderurgico tarantino e si trova davanti al dilemma se sia giusto sostenere la  famiglia con il proprio lavoro e, allo stesso tempo e con lo stesso lavoro che sfama, aumentare le possibilità che i suo cari si possano ammalare. Foschini racconta dei ragazzini, dei bambini che hanno i polmoni ridotti come quelli di un fumatore incallito.

I quindici passi sono la distanza che separa l’impianto siderurgico dalla città, dal suo quartiere più martoriato, Tamburi, divenuto simbolo di un disastro ambientale e della voglia di lottare contro chi non ha rispettato le regole in tutti questi anni. Tamburi, dove un’ordinanza del Sindaco di Taranto ha vietato ai bambini di giocare per strada, privandoli di un’infanzia normale fatta di partite a pallone che durano pomeriggi interi.

Quindici sono i passi che dividono l’industria dal cimitero di San Brunone, dove riposano  tanti ex operai, morti sul lavoro o di malattia o, semplicemente, di vecchia, e dove la dignità dei morti è protetta dipingendo di rosa le tombe e le cappelle, in modo che nessuno si possa rendere conto del minerale che a ritmo continuo si poggia sugli stessi.

I quindici passi del titolo, i quindici passi che dividono l’Ilva dalla città ricordano , forse, i cento passi che dividevano la casa di Peppino Impastato dalla casa di Tano Badalamenti, il boss mafioso, e che forniranno il titolo al film di Marco Tullio Giordana. Passi e distanze che dividono, in tutt’e due i casi, vittime e carnefici.

Filo conduttore dell’inchiesta giornalista di Repubblica sono le lettere che i bambini di Taranto hanno scritto al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al Governatore pugliese, Nichi Vendola. Lettere dove emerge la speranza per un futuro migliore, un futuro dove la paura di ammalarsi e i fumi grigi che coprono il cielo di Taranto siano solo un triste ricordo.

L’Ilva per Foschini è il Vulcano dove un magma continuo di persone, materiale minerario e storie bolle quotidianamente, si amalgamo creando un universo vicino e allo stesso tempo lontano, un mondo da difendere, per alcuni, o da combattere, per altri. Da mantenere aperto in nome della difesa del posto di lavoro, per metà della città, o da chiudere immediatamente, senza se e senza ma, per l’altra metà.

Foschini, parlando dell’Ilva, infine, ricorda a tutti che Taranto è una città bella ed è questo il messaggio che vorremmo che restasse nella memoria di chi leggerà questo libro, di chi parla di Ilva, di chi esprime, a torto o a ragione, opinioni su tutta questa vicenda, che dovrà pur risolversi per il bene di tutti. Taranto è una bella città, nonostante l’Ilva.

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Ritorna Letterativo

Ritorna Letterativo.

Quattro appuntamenti che dal 23 novembre al 13 dicembre accompagneranno i Tarantini amanti della letteratura e dei libri. Quattro appuntamenti per conoscere e scoprire quattro autori.

Si inizia il 23 novembre con Marcello Introna e il suo Percoco. Il 29 novembre sarà il turno di Giuliano Foschini che parlerà dei Quindici Passi e di Lo Zingaro e lo Scarafaggio. Ospiti di dicembre saranno Silvestro Ferrara che presenterà, il 6 dicembre, Supergiusti, supertosti, superveri. Alla scoperta dei supereroi fai-da-te e Antonella Fiore e i suoi Amorincorso, il 13 dicembre.

Ad ospitare questi appuntamenti invernali di Letterativo sarà la storica libreria tarantina Dickens, in Via Medaglie d’Oro, che permette a Letterativo di presentare i libri e i loro autori nello spazio più adatto, una mare di libri.

Vogliamo ringraziare gli sponsor di questa edizione di Letterativo, Très Jolie Taranto e il B&B Lamanna.

Vi aspettiamo numerosi.

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